Af-Pak, nuova strategia americana

Obama non esclude l’uso della forza in Asia centrale

U.S. President Barack Obama laughs during a news conference after the G20 summit at the ExCel centre in east London April 2, 2009. Where President George W. Bush was known for his "cowboy diplomacy," his successor, Obama wants to be known as a listener and a builder of bridges. Reuters/Kevin Coombs
U.S. President Barack Obama laughs during a news conference after the G20 summit at the ExCel centre in east London April 2, 2009. Where President George W. Bush was known for his "cowboy diplomacy," his successor, Obama wants to be known as a listener and a builder of bridges. Reuters/Kevin Coombs

Anthony M. Quattrone

E’ noto che gli americani adorano creare acronimi ogni volta che possono abbreviare un titolo troppo lungo, o anche quando hanno difficoltà nel pronunciare qualche parola con troppe sillabe. Qualche volta un acronimo serve anche per creare nuovi slogan, parole d’ordine, o per ripresentare qualcosa di vecchio con un nome diverso.

Il presidente americano Barack Obama usa l’acronimo Af-Pak per designare la zona geografica che comprende l’Afghanistan ed il Pakistan, e ha designato il diplomatico di carriera, l’ambasciatore Richard Holbrooke, come suo speciale rappresentante per quella zona. Nel creare l’acronimo Af-Pak, la nuova amministrazione Usa focalizza la sua politica contro il terrorismo internazionale proprio sul rapporto stretto che c’è fra i due paesi che condividono una frontiera tanto lunga, quanto permeabile, creando una visione d’indivisibilità dei loro destini.

E così, i cittadini americani sentiranno sempre di più i commentatori televisivi e radiofonici parlare di Af-Pak, e leggeranno sui giornali quest’acronimo, perché è l’intenzione di Obama portare la guerra contro il terrorismo proprio nell’Af-Pak, con molta più forza di quanto abbia fatto il suo predecessore. La novità della strategia di Obama è che il presidente sembrerebbe non escludere la possibilità che le forze Usa dislocate in Afghanistan potrebbero, se necessario, sconfinare all’interno del Pakistan per dare la caccia ad al Qaeda, e che, nel frattempo vanno moltiplicati tutti gli interventi per catturare la simpatia degli afgani e dei pakistani attraverso iniziative che mirano direttamente a migliorare le condizioni di vita di entrambi i popoli. Secondo il piano del presidente, un primo intervento prevede che centinaia di consiglieri civili (esperti in agricoltura, didattica, legge, ecc.) partiranno per l’Afghanistan proprio per lavorare sul miglioramento delle condizioni di vita del popolo.

L’amministrazione Obama accusa il precedente governo del presidente George W. Bush, di essersi fatto distrarre dalla questione irachena, completamente sottovalutando la situazione nell’Af-Pak. Per molti osservatori Usa, la decisione di trasferire il grosso delle truppe e delle risorse americane dall’Afghanistan all’Iraq, dal 2003 in poi, ha permesso ai Taleban di riconquistare territori lungo il confine Af-Pak, causando il graduale, ma costante deterioramento della situazione nell’Afghanistan, ricreando una condizione favorevole alla guerriglia contro il governo del paese, e permettendo anche il rafforzamento della presenza di al Qaeda oltre il confine.

L’amministrazione Obama vorrebbe affrontare in modo decisivo la questione Af-Pak, con un approccio che abbini l’uso della forza militare in combinazione con massicci interventi nel campo civile. Il 27 marzo 2009, Obama ha annunciato l’invio d’altri 4.000 militari in Afghanistan, in aggiunta ai 17 mila già pianificati a febbraio, per “sconvolgere, smantellare, e sconfiggere” la rete di al Qaeda in Afghanistan ed in Pakistan e per “prevenire il ritorno dei terroristi in entrambi i paesi nel futuro”. Le nuove truppe dovrebbero addestrare la polizia e le forze armate afgane, con l’intento di creare le condizioni per aumentare il numero dei militari afgani dalle 83.000 unità di oggi, a 134.000 entro la fine del 2011.

Forse la distinzione più marcata fra la politica di Obama e Bush nei confronti dell’Af-Pak si può trovare nella nuova strategia che la Casa Bianca sta adottando nei confronti della situazione pachistana. Secondo il commentatore Steve Coll del New Yorker, è la prima volta che, negli ultimi decenni, l’America sta attuando nei confronti del Pakistan una politica coordinata fra tutti i dipartimenti del governo Usa, dal Dipartimento della Difesa, al Dipartimento di Stato, a quello della Sicurezza Nazionale, basata su una visione pragmatica, senza lasciarsi ingannare dai servizi d’intelligence pachistani, o da personalità di potere. Secondo Coll, la nuova strategia americana nei confronti dell’Af-Pak nasce dalla visione di sistema che caratterizza il modo di pensare degli analisti all’interno della squadra di Obama.

Durante l’incontro che si è svolto all’Aia il 31 marzo 2009, fra i delegati di 70 paesi per discutere il processo di ricostruzione in Afghanistan, e i modi in cui la NATO e altri partner internazionali potessero contribuire ad aumentare la stabilità nel paese, l’ambasciatore americano Holbrooke ha potuto conversare brevemente con il vice ministro degli esteri iraniano Mohammad Mehdi Akhondzade. Quest’incontro, anche se brevissimo e a margine di una conferenza internazionale, ha dato lo spunto per un primo contatto, ad alto livello, fra diplomatici americani e iraniani in quasi quarant’anni. Secondo la visione pragmatica della squadra di Obama, l’Iran è obbligatoriamente una parte interessata e importante nella ricostruzione dell’Afghanistan e nella stabilità dell’intera zona, e pertanto, in qualche modo, si dovrà ricucire il rapporto fra americani e persiani. Gli organi d’informazione iraniani hanno cercato di sminuire l’incontro, e le autorità continuano a negare che qualcosa è cambiato o sta cambiando nel rapporto con gli Usa.

La mano che Obama ha teso già diverse volte all’Iran, assieme alla nuova strategia nei confronti dell’Af-Pak, potrebbero portare a cambiamenti molto rilevanti nei rapporti fra gli Stati Uniti e il mondo islamico. L’approccio di Obama è diametralmente opposto a quello del suo predecessore. Ora si dovrà vedere se anche i risultati saranno diametralmente diversi, con un’America che potrebbe finalmente liberarsi nel mondo islamico dello stigma del “grande satana”.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.