I primi cento giorni di Obama

Popolarità ai massimi storici per il presidente americano

President Barack Obama greets guests at the "White House to Light House" Wounded Warrior Soldier Ride ceremony on the South lawn at the White House in Washington April 30, 2009. REUTERS/Jim Young
President Barack Obama greets guests at the "White House to Light House" Wounded Warrior Soldier Ride ceremony on the South lawn at the White House in Washington April 30, 2009. REUTERS/Jim Young

Anthony M. Quattrone

I primi cento giorni della presidenza di Barack Obama sono stati caratterizzati dalla frenetica attività del giovane presidente e di tutto il suo governo, nel portare avanti un programma di cambiamento nella politica americana. La data dei primi cento giorni non ha nessun riferimento legale o istituzionale in America, ma è diventato un punto di riferimento per comprendere lo stile, e per tracciare alcune traiettorie che andranno a caratterizzare i rimanenti tre anni e nove mesi di un primo mandato presidenziale.

E’ con la presidenza di Franklin Delano Roosevelt che gli americani sentirono parlare, per la prima volta, dei “primi cento giorni” di una presidenza, perché il nuovo presidente, proprio all’inizio della sua amministrazione, lanciò un rilevante numero di nuovi programmi, particolarmente audaci, per risollevare l’America della Grande Depressione. Roosevelt, come Obama oggi, si trovò ad affrontare una forte crisi bancaria ed un’enorme massa di americani senza lavoro. Nel caso di Roosevelt, però, il periodo dei cento giorni non partì con l’inaugurazione del 20 gennaio 1933, ma dall’inizio del mese di marzo e si concluse a metà giugno. Gli storici dibattono ancora sulla reale utilità delle misure economiche attuate da Roosevelt, ma nessuno nega l’importanza dello stimolo psicologico che l’attivismo presidenziale creò, e che, senza dubbio, aiutò il paese a risorgere.

Solo il presidente Ronald Reagan, nei primi cento giorni della sua presidenza, dal 20 gennaio al 29 aprile 1981, riuscì ad eguagliare Roosevelt nell’implementare un radicale cambio di rotta, tale da risollevare il paese dalla stagnazione, che si manifestava non solo in campo economico, ma forse anche in quello militare, con riflessi nella politica estera. Nell’arco dei primi 100 giorni, Reagan riuscì a far approvare dal Congresso il taglio delle tasse, nuove priorità di spesa, e una generale capitalizzazione del bilancio della difesa. Molti opinionisti americani attribuiscono a Reagan il merito di un lungo periodo di crescita dell’economia americana, e anche lo sgretolamento dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia.

Obama, come Roosevelt 76 anni fa, cerca di riformare il capitalismo americano per salvarlo, non per sovvertirlo. Secondo il professor Allan Lichtman dell’American University, “Obama ha attuato grandi cambiamenti, ma sempre all’interno del normale arco conservatore-progressista. Si, il pendolo è oscillato, ma dalla corrente principale conservatrice, a quella principale del liberalismo”. Obama non ha nazionalizzato le banche, ma ha negoziato l’acquisto dei loro titoli “tossici”. Obama non cerca di sostituire le assicurazioni mediche private con un’assicurazione governativa, ma cerca di mettere proprio le assicurazioni al centro del nuovo piano che dovrebbe garantire a tutti gli americani la copertura sanitaria. E anche sulla questione delle tasse, Obama non vuole alzare le tasse per il 95 percento degli americani, ma solo per il 5 percento, riportandoli alle quote pagate quando era presidente il repubblicano, idolo dei conservatori, proprio Ronald Reagan.

Secondo William Galston, un ricercatore della Brookings Institution, un ex collaboratore del presidente democratico Bill Clinton, “Obama è un Reagan con il segno negativo”. Per il ricercatore, oggi Obama “sta tentando di disfare e annullare il reaganismo e Reagan stesso”, così come Reagan tentò di smontare completamente il sogno del presidente democratico Lyndon B. Johnson, di creare una “Grande Società” americana, finanziata dal governo. In pratica, Obama sta cercando di invertire un detto di Reagan, che stabiliva che “il governo non è parte della soluzione, ma è il problema”. Oggi, anche per molti conservatori americani, con l’eccezione dei liberisti puri, il governo non è il problema, ma è necessariamente l’ancora di salvezza dell’economia. Le differenze fra conservatori e liberal riguardano, semmai, più il grado dell’intervento governativo, ma non dell’intervento stesso.

Che cosa ha fatto Obama in questi primi cento giorni? Ha decretato la chiusura di Guantánamo. Ha firmato una legge sulla parità delle retribuzioni fra uomo e donna. Ha dato l’assistenza medica federale a oltre cinque milioni di ragazzi americani che non ne fruivano. Ha tolto il divieto del finanziamento federale della ricerca sulle cellule staminali. Ha tolto il divieto di finanziare organizzazioni internazionali che danno assistenza per il controllo delle nascite e per la pratica dell’aborto. Ha deciso il ritiro dall’Iraq in base ad una tabella di marcia accettata dai generali. Ha deciso di spostare migliaia di truppe americane in Afghanistan per combattere la guerra contro al Qaeda. Ha messo la giusta enfasi sul problema pachistano, e le zone franche che, di fatto, il Pakistan offre ad al Qaeda. Ha lanciato chiari messaggi di apertura verso l’Iran e Cuba. Ha stretto la mano al venezuelano Hugo Chavez e ha cercato il dialogo con il boliviano Evo Morales. Ha rinsaldato l’amicizia con gli Europei, ripresentando l’importanza del Patto Atlantico della NATO, e dell’integrazione europea. Ha lanciato messaggi d’apertura e simpatia al mondo islamico attraverso la visita in Turchia. Ha detto no alla tortura, e sì alla difesa della statura morale degli Stati Uniti, dove lo stato di diritto, la trasparenza, e il dare conto del proprio operato devono sempre essere al centro dell’azione di governo, pubblicando la corrispondenza del dipartimento della giustizia che in pratica autorizzava la tortura. Ha fatto capire ai nemici dell’America che non tentenna nell’uso della forza, se questo diviene necessario, come ha fatto nell’ordinare alle forze speciali della marina Usa, i “SEALS” di liberare il capitano della marina mercantile, Richard Phillips, prigioniero di pirati somali, o come fa ogni giorno autorizzando i militari americani in Afghanistan ad attaccare le forze di al Qaeda, o dei loro complici taleban, anche quando ritornano all’interno del territorio pachistano.

Sono stati cento giorni molto impegnativi per il presidente Obama e sono tante le iniziative che ha preso. Secondo alcuni, anche troppe. Secondo gli osservatori, tuttavia, solo un’iniziativa determinerà come sarà ricordato dai posteri. Ed è quella nel campo dell’economia. Ancora prima di diventare presidente, Obama si è battuto per far approvare un pacchetto di misure necessarie per stimolare l’economia. Quando è diventato presidente, ha chiesto di ricevere sulla sua scrivania entro la metà di febbraio, per la firma esecutiva, una proposta di spesa approvata dal Congresso per spendere miliardi di dollari sulle infrastrutture americane, per le scuole e per l’università, per la ricerca, per l’energia alternativa, e per sostenere quelle industrie fondamentali, come quella dell’auto, che hanno bisogno di un forte aiuto per riconvertire la produzione, abbandonando le auto che oggi ingurgitano petrolio straniero, per produrre macchine di grand’efficienza energetica. Ha usato la mano forte sia con le industrie, sia con gli istituti finanziari, chiedendo la testa dei manager che avevano portato le loro organizzazioni al tracollo, e non ha avuto esitazioni nell’assumersi la responsabilità anche quando qualche operazione non è andata per il verso giusto, come nel caso dei bonus immeritati pagati ai dirigenti dell’American International Group (AIG), con i soldi del salvataggio federale.

Nei prossimi mesi, saranno molti le lobby e gli osservatori che daranno un voto alla presidenza Obama. Per ora, secondo Galston, si può giudicare l’intervento economico di Obama con la seguente pagella: “Pacchetto di stimoli, sufficienza. Salvataggio delle case e dei mutui, troppo presto per giudicare. Salvataggio degli istituti finanziari, probabilmente non ancora abbastanza audace. Riforma delle regole della finanza, la discussione è appena iniziata”. In breve, le traiettorie che Obama sta tracciando in economia sono tutte positive, ma ci vogliono molto più di cento giorni per trarre conclusioni più definitive.

Autore: Tony Quattrone

Tony Quattrone è stato eletto rappresentante del Partito Democratico USA in Italia dal marzo 2015 al marzo 2017 (Democrats Abroad Italy-Chair). Ora vive a Houston, Texas, dove milita nel Partito Democratico della Contea di Harris. Ha vissuto in Italia per quasi 50 anni, dove ha lavorato prima per i programmi universitari del Dipartimento della Difesa USA, e poi come Capo delle Risorse Civili del Comando NATO di Napoli. Ha pubblicato oltre 200 articoli in italiano per diverse testate (Quaderni Radicali, Il Denaro, L'Avanti, ecc.) ed è stato intervista più volte dalla RAI e altre emittenti in Italia a proposito delle elezioni USA.

2 pensieri riguardo “I primi cento giorni di Obama”

  1. Caro Tony, le iniziative nel campo socio-economico sono state molte ed ora si attendono i risultati. Nel campo politico noto molte iniziative ma con scarsi risultati, specialmente nei riguardi della questione tra Israele e Palestina. Credo che questa titubanza sia dovuta alla preoccupazione del presidente Obama di non toccare la suscettibilità dei ricchi finanzieri israeliani che controllano parte dell’economia americana. Un abbraccio, Enzo.

    1. Caro Enzo, penso che vedremo qualche risultato fra Israele e Palestina appena si “scongelano” ulteriormente i rapporti fra Usa e Iran. Un saluto! Tony

I commenti sono chiusi.