Anthony M. Quattrone
Negl’ultimi venti anni, il concetto di outsourcing è diventato il paradigma vincente nei modelli organizzativi di moltissime ditte, le quali preferiscono affidare ad imprese in appalto tutte quelle funzioni che non fanno parte del cuore dell’organizzazione.
L’outsourcing è iniziato con semplici appalti di alcune funzioni sussidiarie all’impresa, come le pulizie, il facchinaggio, e gli altri servizi a basso livello di specializzazione, per poi occupare spazi sempre più vicini alle attività fondamentali dell’organizzazione, come la stessa contabilità, i servizi della segreteria, ed interi settori della produzione. Con la globalizzazione, alcune funzioni in appalto ora sono addirittura dislocate in diverse parti del mondo, e non è affatto improbabile che il servizio informazioni di una ditta inglese si trovi in un paese asiatico, con operatori indiani che rispondono a richieste riguardanti un evento che si svolge a Londra. E’ ancora presto per esprimere un giudizio finale sull’outsourcing come metodo di organizzazione dell’attività di un’azienda, ma, tuttavia, è innegabile che offre, almeno per un periodo iniziale, vantaggi economici immediati per l’impresa che lo utilizza. Non è ancora certo che, nel lungo termine, la disintegrazione dell’identità di una ditta, e lo spezzettamento delle sue funzioni in tante parti, dove una componente tratta un’altra come un cliente, riesca a funzionare meglio di un sistema integrato, dove ogni componente fa parte della stessa organizzazione. La dedizione e il senso di appartenenza dei dipendenti dell’impresa “principale” sono sicuramente messi sotto stress.
Gli impiegati statali americani, come quelli di tanti altri paesi, ed anche di alcune organizzazioni internazionali, vivono nel costante terrore che il loro lavoro, le attività che svolgono per i loro datori di lavoro, possano essere dati in appalto ad un’impresa privata, da un momento all’altro, nell’ottica dell’ottimizzazione dei processi produttivi e per garantire più efficienza nella spesa del denaro pubblico. E’ diventato ormai molto comune per un impiegato americano lavorare al fianco di un lavoratore di una ditta in appalto nel svolgere mansioni che fino a venti anni fa erano di competenza esclusiva del dipendente federale. Un po’ alla volta, o, in qualche caso anche dall’oggi al domani, “vacche sacre” del servizio pubblico, come le attività relative alla sicurezza nazionale, sono state date a ditte private. In Iraq, le ditte appaltatrici di contratti governativi Usa sono riuscite anche ad ottenere contratti per svolgere lavori che rientrano, direttamente o indirettamente, nelle attività relative al combattimento. La ditta Blackwater, responsabile per la difesa personale di alti dirigenti e funzionari del governo Usa a Baghdad, è forse il più eclatante esempio di un’organizzazione privata che entra nel territorio normalmente riservato alle attività di uno stato sovrano.
Durante gli anni della presidenza di George W. Bush, la frenesia di appaltare tutto quello che si poteva aveva preso il sopravvento nella programmazione della spesa del bilancio pubblico americano, specialmente nel Dipartimento della Difesa, riducendo sempre di più le attività svolte dai dipendenti federali. In otto anni, la presidenza Bush aveva raddoppiato l’ammontare speso per gli appalti, raggiungendo quota 500 miliardi di dollari. Il 4 marzo 2009, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha deciso di ribaltare la politica di Bush, ponendo severi limiti alla politica di outsourcing. Obama ha dichiarato che è necessario “smettere di dare in appalto quei servizi che dovrebbero essere fatti dal governo, rendendo, nel frattempo, più accessibile il sistema degli appalti alle piccole imprese”.
Per il presidente Usa è venuto il momento di “mettere fine al sistema dei contratti con costi maggiorati e aggiudicati senza competizione, che aumentano la spesa a carico del popolo americano.” Per Obama è necessario aumentare il controllo sugli appalti, per massimizzare la trasparenza, perchè “troppe volte, la spesa è infestata da aumenti ingiustificati dei costi, dalle frodi, e anche dalla totale assenza di supervisione e responsabilità.” Secondo il presidente americano, “in qualche caso, non solo i contratti sono aggiudicati senza una reale competizione, ma, alle volte, una ditta appaltatrice funge da supervisore di un’altra ditta.”
E’ di questi giorni la notizia che il ministero della giustizia Usa sta conducendo indagini sull’aggiudicazione di contratti federali, e già sono una dozzina le persone che sono state incriminate. Secondo Phillip Elliott della Associated Press, sono in corso oltre 140 indagini su presunte frodi contrattuali americane in Iraq, Kuwait, e Afghanistan. Durante la fase iniziale durante le invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan, sono stati spesi miliardi di dollari velocemente, e senza supervisione, permettendo un profilarsi di frodi.
Obama sta tentando di trasformare il modo in cui si fa politica a Washington, cercando di ridurre le influenze delle lobby sui processi decisionali del governo e del Congresso. Secondo Obama, troppo spesso una spesa legittima è “emendata da cavilli e riserve, che permettono finanziamenti a programmi e servizi che nulla hanno a che vedere con gli interessi del popolo americano, ma servono solo a far arricchire il cliente di qualche lobby”.
La lotta contro l’abuso dell’outsourcing e contro l’influenza negativa delle lobby creerà al presidente Obama antipatie molto forti fra coloro che hanno sfruttato ogni crisi militare e ogni situazione di difficoltà del paese per imporre contratti e appalti di dubbio valore, arricchendo i proprietari delle aziende vincitrici. Questi utilizzeranno tutte le tribune disponibili per attaccare il giovane presidente. Ed è forse per questo che il senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, che ha conteso la presidenza Usa a Barack Obama lo scorso novembre, si è presentato al suo fianco il 4 marzo, durante l’annuncio della nuova politica federale per le gare d’appalto. McCain ha affermato che appoggerà il presidente nella battaglia contro gli “interessi speciali”, come spesso sono chiamate le lobby, per raggiungere un risparmio di circa 40 miliardi di dollari annuali.
Nel frattempo, Obama sta continuando, in ogni occasione, ad informare gli americani a riguardo di quanto sta facendo per riformare il modo di fare politica a Washington. La sua determinazione sarà messa a dura prova specialmente ora che la sua amministrazione sta per spendere somme da capogiro per la costruzione di infrastrutture, per la creazione di un sistema sanitario nazionale, e per l’ammodernamento del sistema scolastico. Se da un lato la riforma del sistema di aggiudicazione dei contratti è fondamentale per assicurare trasparenza e onestà, dall’altro è necessario che le spese decise dal governo ed approvate dal Congresso, come parte del piano di misure per stimolare l’economia, siano fatte al più presto. Obama dovrà dimostrare tutta la sua bravura nel mediare fra onestà e immediatezza, fra trasparenza e praticità, se vuole conservare il consenso del paese.
Pubblicato sull’Avanti! del 6 marzo 2009, in prima pagina.
Caro Tony, quando nel 2004-2005, durante le fasi della ristrutturazione della struttura NATO, i grandi di SHAPE si beavano della riduzione dei posti, specialmente civili, perchè l’OUTSOURCING sembrava la panacea di tuti i mali, il sottoscritto nella sua incompetenza si opponeva e faceva notare che che una attività militare, come quella delle comunicazioni, non può essere devoluta a personale estraneo all’ambiente e che i posti civili, a causa delle conoscenze che si acquisiscono nella gestione di apparecchiature sempre più sofisticate, erano vitali per l’organizzazione. Mi auguro che il tuo Presidente, purtroppo non posso dire il mio, possa portare questa innovazione anche tra i sapientoni che siedono a Bruxelles. Un abbraccio, Enzo.