Terzo dibattito presidenziale alle 3 di stanotte alla Hofstra University
Anthony M. Quattrone
Tom Bradley, un popolare sindaco nero di Los Angeles, perse nel 1982 contro un candidato bianco per le elezioni a governatore della California, dopo che le proiezioni dei sondaggi gli avevano costantemente previsto la vittoria. Nello studio dei sondaggi, si parla di “effetto Bradley” per descrivere una situazione in cui un rilevante numero d’elettori bianchi dichiara, durante i sondaggi, che sono sinceramente indecisi o che voteranno per un candidato non bianco, ma che poi, quando vanno effettivamente a votare, danno il voto in larga parte al candidato bianco. Per Jason Carroll della Cnn, l’effetto Bradley è una vera incognita che potrebbe influenzare l’attuale campagna elettorale, che vede, secondo la media degli ultimi sondaggi nazionali, il senatore democratico dell’Illinois, Barack Obama, in vantaggio sul senatore dell’Arizona, John McCain, per una media di otto punti percentuali per la presidenza degli Stati Uniti.
Nei sondaggi nazionali, il Washington Post del 14 ottobre da Obama in vantaggio per dieci punti su McCain, per 53 a 43 percento, confermando i dati della Gallup del 12 ottobre che da il candidato democratico in vantaggio per 52 a 43,5 percento. Per la Reuters del 13 ottobre, Obama conduce per 49 a 43, mentre per la Rasmussen dello stesso giorno, Obama è in vantaggio per 50 a 45 percento. Nei sondaggi condotti in Florida, Ohio, e Pennsylvania, tre degli Stati che potrebbero decidere le prossime elezioni presidenziali, Obama ha un vantaggio sicuro solo in Pennsylvania, dove ha un margine del 13,4 percento. In Florida, i sondaggi indicano Obama in vantaggio per una media del cinque percento, mentre in Ohio, il vantaggio è uno striminzito 3,2 percento.
I dati nazionali e quelli degli Stati ballerini preoccupano quegli analisti democratici che credono nel potenziale dell’effetto Bradley. Il giornalista Jason Caroll informa, infatti, che, secondo alcuni studiosi, l’effetto Bradley inciderebbe nelle elezioni americane per circa il sei percento a danno di un candidato afro-americano, quando è in gara contro un bianco. Nel caso delle elezioni presidenziali in corso, dove in alcuni stati “ballerini” il margine a favore di Obama è inferiore al sei percento, l’effetto Bradley potrebbe risultare decisivo nell’assegnazione dei voti elettorali in palio. Si ricorda che in quasi tutti gli Stati, la competizione elettorale per la presidenza americana prevede che il vincitore del voto popolare in uno Stato si aggiudica tutti i voti elettorali assegnati a quello Stato. La presidenza si vince quando un candidato riesce ad ottenere 270 dei 538 voti disponibili.
Da parte democratica si tenta di distogliere l’attenzione dell’elettorato dalla questione razziale, e di concentrare tutta la campagna sui temi più sentiti dalla popolazione, ed in primo luogo sulla crisi economica. Anche la moglie del candidato democratico, Michelle Obama, ha provato a sminuire la questione razziale, dichiarando pochi giorni fa, durante il programma condotto dal popolare giornalista della Cnn, Larry King, che l’effetto Bradley è vecchio di alcuni decenni e forse superato: “Penso che il paese sia cresciuto molto da allora, e i temi attuali avranno un peso decisivo nei cuori delle persone, specialmente quando si recheranno alle urne”.
Adam Nagourney ha scritto sul New York Times del 13 ottobre che l’attivissima macchina elettorale del senatore democratico, costruita sul modello dei repubblicani guidati nel 2000 e nel 2004 da Karl Rove, che fu il principale strategista elettorale dell’attuale presidente Bush, e da Ken Mehlman, ex leader del partito repubblicano in quegli anni, non è per nulla testato e potrebbe non riuscire a portare alle urne i milioni di nuovi iscritti alle liste elettorali, molti dei quali dichiarano di appoggiare Obama.
Fra ora e il 4 novembre possono succedere tante cose, e, in primo luogo, si dovrà vedere come andrà il dibattito presidenziale che si svolgerà questa notte (ore 3 italiane), presso la Hofstra University a New York. McCain ha la reputazione di un politico capace di rialzarsi proprio quando tutti lo danno per spacciato. Ed è anche per questo che Adam Nagourney avverte i democratici, dalle pagine del New York Times, che la partita contro McCain non è per niente finita.
Pubblicato in prima pagina sull’Avanti! del 15 ottobre 2008