Obama il centrista

Anthony M. Quattrone

U.S. President Barack Obama views a turbine as he tours General Electric's birthplace in Schenectady, New York, January 21, 2011. With Obama is plant manager Kevin Sharkey. REUTERS/Kevin Lamarque

Molti osservatori americani si chiedono, a due anni dall’inaugurazione della presidenza Obama, quale sia il credo politico, o l’ideologia dell’attuale inquilino della Casa Bianca.  Barack Obama è stato eletto all’insegna del cambiamento, l’unità, la condivisione, la razionalità, la risoluzione, il pragmatismo.  Secondo Jacob Bronsther, in un articolo pubblicato nel Christian Science Monitor il 21 gennaio 2011, gli americani conoscono la differenza ideologica tra Franklin Delano Roosevelt e Ronald Reagan, ma non sono certi sui valori filosofici e politici di Obama.  Bronsther, il quale sostiene che Obama ha enunciato dei principi metodologici, come il pragmatismo e il cambiamento, piuttosto che dei principi ideologici, ricorda che nel 2009 il New York Times chiese al Presidente se ci fosse una parola che potesse definire la sua filosofia.  Il giornale gli chiese se fosse un socialista, o un progressista, o un “liberal”.  Obama rispose che non voleva lasciarsi coinvolgere in quel tipo di discussione, rilevando la sua avversione per le etichette.  Per Bronsther, la riluttanza di Obama di dichiarare quali sono i suoi principi guida, se è più vicino a Roosevelt o a Reagan, crea enormi problemi per tutti, e in primo luogo per il Paese che lui vorrebbe o dovrebbe unire attorno ad una visione.  Se Obama vuole creare a un movimento che duri nel tempo, dovrà, primo o poi, enunciare il suo credo.

Secondo quanto scrivono Jackie Calmes e Jeff Zeleny nel New York Times del 22 gennaio 2011, Obama cercherà di raccontare una visione “centrista” in occasione del discorso sullo stato dell’Unione del prossimo 25 gennaio 2011.  In un video che Obama ha inviato ai suoi sostenitori, emerge l’intenzione del Presidente di spostarsi verso il centro, appellandosi agli elettori indipendenti, ai manager e agli imprenditori che si sentono alienati dall’espansione del ruolo del governo federale nell’economia e dalla virulenta lotta fra democratici e repubblicani nel Congresso.  Secondo Jackie Calmes e Jeff Zeleny, Obama cercherà di focalizzare l’attenzione degli americani sulla necessità di costruire fondamenta solide su cui ergere l’America del futuro, basandosi sul concetto di unità nazionale e di rinascita, assieme alla necessità d’interventi mirati da parte del governo federale, cercando nel frattempo di ridurre il deficit di bilancio.

Nel video inviato ai sostenitori, Obama ricorda che la sua attenzione principale rimane quello di assicurare che l’America sia competitiva sul mercato globale, e che si creino posti di lavoro non solo oggi ma anche nel futuro. Per Obama, ci sono grandi sfide di fronte agli americani, ma “siamo capaci di affrontarle, se ci uniamo come popolo — repubblicani, democratici, e indipendenti – se siamo capaci di focalizzarci su quello che ci unisce, e se siamo disposti a trovare un terreno comune, anche quando siamo impegnati in ardenti discussioni”.  Secondo il New York Times, il tentativo di Obama di rinnovare la sua immagine dopo due anni d’iniziative percepite come progressiste da parte degli americani, sarà difficile, ma non impossibile, anche perché stanno arrivando, finalmente, alcuni segnali positivi dall’economia.

Il problema per il presidente americano sarà quello di conciliare il tentativo di apparire di centro, riducendo il deficit pubblico, senza perdere il sostegno della sinistra progressista del partito democratico, spendendo di più nei campi dell’istruzione pubblica, i trasporti, e l’innovazione tecnologica.  Se l’economia si riprendesse, e più americani tornassero al lavoro, il miracolo potrebbe avvenire, con introiti maggiori per l’erario, e una conseguente riduzione del deficit, senza sacrificare le iniziative care a Obama e alla sinistra liberal.
Nell’attesa per il discorso di martedì sullo stato dell’Unione, l’opposizione repubblicana ha già deciso di continuare sulla strada intrapresa due anni fa, cioè di attaccare Obama su tutto senza dare mai tregua.  Per il momento, la strategia repubblicana ha pagato con la riconquista della Camera nelle elezioni dello scorso novembre.  Se l’economia dovesse riprendersi, tuttavia, i repubblicani avranno bisogno di argomenti più convincenti per sconfiggere Obama nel 2012, e non vorranno, sicuramente, apparire agli americani come quelli che si augurino “il tanto peggio, tanto meglio” per scopi puramente politici.

Riforma sanitaria Usa: i repubblicani provano ad abrogarla

Anthony M. Quattrone

Il 7 gennaio 2010, la nuova Camera dei Rappresentanti USA, ora a maggioranza repubblicana ha messo all’ordine del giorno per il prossimo 12 gennaio il voto per abrogare la storica riforma sanitaria fortemente voluta dal presidente Barack Obama.  Il partito repubblicano aveva promesso che se avesse raggiunto la maggioranza al Congresso avrebbe immediatamente cancellato la riforma  “socialista” che Obama avrebbe imposto, secondo la destra conservatrice, agli americani.  Il nuovo presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, deputato dal 1991 dell’ottavo distretto dell’Ohio, ha potuto contare 236 voti contro 181 per mettere all’ordine del giorno l’abrogazione della riforma.

I democratici accusano i repubblicani di fare gli interessi delle grandi compagnie assicurative, specialmente per quanto riguarda il divieto, previsto dall’attuale legge, di negare la copertura assicurativa a chi abbia patologie preesistenti.  I repubblicani controbattono che non sono contrari ad una riforma sanitaria condivisa, ma che non accettano quella “imposta” da Obama lo scorso marzo, quando alla Camera la legge passò con soli 5 voti di scarto, con 219 democratici che votarono a favore della riforma e una minoranza composta da 178 repubblicani e da 34 democratici di destra che votarono contro.

La revoca della riforma sanitaria, tuttavia, potrebbe non avere alcun successo se i democratici, che hanno la maggioranza al Senato, riescono a rimanere uniti.  Uno dei maggiori problemi del  partito di Obama rimane l’ingovernabile eterogeneità della sua composizione ideologica, con la forzata convivenza di liberal di sinistra del New England con conservatori dell’ultra destra sudista.  Attualmente, la maggioranza  democratica può contare sulla somma di 51 senatori democratici più due indipendenti, contro la minoranza fatta  da 47 repubblicani.   Al Senato, alcuni senatori democratici, come Ben Nelson del Nebraska, e l’indipendente Joe Lieberman, sono facilmente attratti dalle posizioni esposte dalla destra repubblicana, e Obama sarà costretto a fare un duro lavoro di compromesso se vorrà avere abbastanza forza per negoziare con i repubblicani l’attuazione, anche parziale, del suo programma di governo durante i prossimi due anni.  Tuttavia, il problema non è nuovo per Obama, perché prima delle elezioni dello scorso novembre, quando i democratici hanno perso la maggioranza alla Camera e hanno perso diversi seggi al Senato, il partito democratico era talmente diviso che spesso la destra democratica votava con i repubblicani apertamente contro le posizioni del presidente. Leggi tutto l’articolo