Usa: i repubblicani calvacano la depressione

U.S. President Barack Obama faces reporters during a news conference in the East Room of the White House in Washington, May 27, 2010. Obama promised on Thursday to hold BP accountable in the catastrophic Gulf of Mexico oil spill and said his administration would do everything necessary to protect and restore the coast. REUTERS/Jason Reed

Anthony M. Quattrone

Le elezioni americane del prossimo novembre saranno influenzate primariamente dall’andamento dell’economia, sia quella dell’intera Nazione, sia quella dei differenti Stati dell’Unione. La recessione ha eliminato in America circa otto milioni di posti di lavoro nel settore privato e la disoccupazione è ancora attorno al dieci percento.  Anche se ci sono modesti segnali di ripresa, e migliaia di nuovi posti di lavoro sono creati ogni mese, i segnali restano preoccupanti.

Secondo un sondaggio condotto dalla Rasmussen il 22 e 23 maggio 2010, usando un campione composto di persone che più probabilmente andranno a votare a novembre, 48 percento pensa che i problemi economici che il Paese sta affrontando siano stati causati dalla recessione iniziata durante l’amministrazione Bush.  Questa percentuale è scesa di cinque punti dal rilevamento effettuato lo scorso aprile e di ben quattordici punti dal maggio 2009.  La percentuale delle persone che attribuisce la colpa alle politiche adottate da Obama è salita di quattro punti percentuali, da trentanove percento dello scorso mese a quarantatré dell’attuale sondaggio, ma è più basso della rilevazione effettuata nell’ottobre 2009, quando raggiunse quarantacinque percento, il massimo della sua presidenza.

Secondo un’analisi dei dati ufficiali pubblicati da un’agenzia del governo federale Usa, il Bureau of Economic Analysis, per il primo trimestre del 2010, condotta dalla testata USA Today, la percentuale del reddito personale degli americani proveniente da fonti pubbliche ha toccato il massimo storico, mentre quella da fonti private ha toccato il minimo.  Il reddito proveniente da fonti pubbliche, che include oltre alle pensioni, alle indennità di disoccupazione, ai buoni pasto per i meno abbienti, e gli altri programmi di sostentamento del reddito per i più deboli, anche gli stipendi dei dipendenti pubblici, è salito da 12,1 percento del primo trimestre 2000, a 14,2 percento nel dicembre 2007, quando iniziò la recessione, a 17,9 del primo trimestre di quest’anno.  Durante lo stesso periodo, il reddito proveniente dal settore privato è sceso da 47,6 percento registrato nel primo trimestre del 2000, a 44,6 percento nel dicembre 2007, all’attuale 41,9. Leggi tutto l’articolo

Usa, soffia il vento “anti-incumbent”

Anthony M. Quattrone

U.S. Senate candidate Rand Paul talks with his wife Kelley as he waits to be introduced at a Republican party unity rally in Frankfort, Kentucky, Saturday, May 22, 2010. (AP Photo/Ed Reinke)

Negli Stati Uniti spira un vento contrario ai quei senatori, deputati, e governatori attualmente in carica che dovranno competere nelle prossime elezioni di novembre per ottenere il rinnovo del loro mandato. In questi giorni si stanno svolgendo alcune delle primarie democratiche e repubblicane per scegliere i candidati che gareggeranno per il rinnovo della Camera, un terzo del Senato, e per l’elezione di 36 dei 50 governatori dei differenti Stati americani per le elezioni di novembre, le cosiddette mid-term, cioè quelle che si svolgono a metà del mandato presidenziale di Barack Obama.

Secondo tutti i maggiori sondaggi svolti nelle ultime settimane, circa 70 percento degli americani giudica sfavorevolmente il lavoro svolto dai membri del Congresso, indipendentemente dal partito di appartenenza. Secondo un sondaggio svolto per l’Associated Press, solo 36 percento voterebbe per un candidato attualmente in carica. E’ particolarmente significativo che un sondaggio condotto per ABC/Washington Post abbia rilevato che la maggioranza degli americani ha più fiducia in Barack Obama, di quanto ne abbia nei deputati e senatori dell’opposizione repubblicana per quanto riguarda l’economia, la riforma sanitaria, la riforma finanziaria, e la gestione del deficit federale. Questo dato, tuttavia, non garantisce i deputati e i senatori democratici dall’irritazione popolare nei confronti del Congresso, e qualche pezzo grosso dell’establishment del partito di Obama inizia a traballare.

Già cadono le prime teste famose nella guerra “anti-incumbent” (contro il candidato in carica). L’ottantenne Alan Specter, il senatore della Pennsylvania, eletto cinque volte come repubblicano, passato ai democratici undici mesi fa, ha perso le primarie democratiche del 18 maggio 2010 contro il deputato Joe Sestak, per 47 a 53 percento. Specter aveva il sostegno dell’establishment del partito democratico, fra cui Barack Obama e Edward Rendell, il governatore della Pennsylvania. Il coraggio del vincitore, Ed Sestak, un ammiraglio in pensione al suo secondo mandato come deputato, è stato premiato da un elettorato non convinto della bontà della “conversione” di Specter da repubblicano a democratico. Lo stesso Sestak aveva attaccato Specter accusandolo di aver cambiato casacca solo per opportunismo, perché non fosse più convinto di poter vincere le primarie repubblicane. Solo qualche settimana fa, Sestak era in svantaggio per 2 a 1 nei sondaggi fra gli elettori democratici, ma il vento “anti-incumbent” lo ha sicuramente aiutato nella battaglia tutta in salita. A novembre Sestak sfiderà l’ex deputato repubblicano Pat Toomey, in quello che sarà, probabilmente, una sfida dal risultato incerto fino all’ultimo voto in Pennsylvania. Leggi tutto l’articolo

Arizona: Grana immigrazione per i repubblicani

La nuova legge in materia varata dallo Stato dell’Arizona fa perdere ai repubblicani i consensi degli ispanici

In this Monday, April 10, 2006 picture, immigration rights supporters hold a rally in downtown Los Angeles. (AP Photo/Kevork Djansezian)

Anthony M. Quattrone

Il tema immigrazione è scoppiato fra le mani dei leader repubblicani americani nel momento meno opportuno, a sei mesi dalle elezioni di mid-term del prossimo novembre, quando saranno rinnovate un terzo dei seggi del Senato, l’intera Camera dei Deputati, e andranno in gara 36 cariche di governatore dei 50 Stati dell’unione. Le proteste in America stanno montando contro una legge sull’immigrazione clandestina approvata il 23 aprile 2010 dal governatore dell’Arizona, la repubblicana Jan Brewer. Diversi consigli comunali in varie parti degli Stati Uniti, molte organizzazioni culturali e sportive, e rappresentanti delle associazioni che tutelano i diritti delle minoranze chiedono il formale boicottaggio dello Stato dell’Arizona, fino a quando rimarrà in vigore la nuova legge. Le organizzazioni che rappresentano la comunità ispano-americana sono fra le più attive nel protestare contro la nuova legge, creando notevoli difficoltà per i dirigenti politici repubblicani, compagni di partito della governatrice Brewer e della maggioranza che controlla il ramo legislativo dello Stato dell’Arizona..

Secondo il New York Times, la legge approvata dallo Stato dell’Arizona “trasforma in sospetti criminali tutti gli abitanti di origine ispanica dell’Arizona, anche se sono immigrati con regolare permesso di soggiorno, o cittadini americani”. Secondo la versione finale della legge, sarà possibile per la polizia chiedere alle persone fermate perchè sospettate di aver violato una legge, i documenti relativi all’immigrazione. Secondo alcuni osservatori, diventerebbe buona prassi per un cittadino americano che viaggia in Arizona, di avere con se il passaporto perché, da come è stata emanata la legge, l’onere della prova di cittadinanza o di presenza legale nello Stato è totalmente a carico del fermato, e in mancanza di documenti, si va in prigione. Mentre da un punto di vista formale, la legge approvata in Arizona potrebbe anche reggere nelle corti federali contro eventuali eccezioni legali, la protesta delle organizzazioni ispaniche verte sulla questione del “racial profiling”, ovvero del “puntamento” razziale nei confronti delle persone che hanno un aspetto ispanico, nelle zone a ridosso del confine con il Messico. In breve, la preoccupazione degli oppositori della nuova legge dell’Arizona è che sarebbe troppo facile per la polizia trovare mille scuse per fermare delle persone “sospette”, finendo per puntare illegalmente gli ispanici. Secondo alcune stime ufficiali, tre quarti dei quasi 12 milioni di immigrati clandestini in America sono ispanici. Il racial profiling è già stato considerato una violazione dei diritti costituzionali di coloro che ne sono vittime, e le corti hanno condannato, in diverse occasioni, i dipartimenti di polizia e le agenzie governative che lo praticavano. Leggi tutto l’articolo

Terrorismo: Obama fra sicurezza e libertà

Anthony M. Quattrone

An image of terror suspect Faisal Shahzad is seen on a screen during a press conference at the US Justice Department in Washington, DC, on May 4. The United States charged for the first time that the Pakistani Taliban was behind a Pakistani-American's failed attempt to detonate a car bomb in the heart of New York City. (AFP/File/Jewel Samad)

Sembrerebbe che uno degli obiettivi principali del terrorismo internazionale sia quello di mettere in crisi l’equilibrio che, nel corso della loro storia, gli americani sono riusciti a creare fra sicurezza e libertà. Dagli eventi del settembre 2001 ad oggi, ogni attacco all’America crea nell’americano medio la disponibilità nel sacrificare alcune libertà in cambio di più sicurezza. L’evento del primo maggio a New York, dove un cittadino naturalizzato americano, nato in Pakistan, Faisal Shahzad, ha cercato di far saltare in aria una Nissan Pathfinder del 1993, imbottita di esplosivi in modo amatoriale, nel cuore della Grande Mela, a pochi passi da una Times Square strapiena di turisti, ha fatto tornare alla ribalta l’apparente dicotomia fra libertà e sicurezza.

E’ strano che proprio in questa circostanza, dove in appena 53 ore le autorità hanno arrestato il presunto attentatore, gli americani possano lasciarsi condizionare da chi propone nuove misure di sicurezza che limiterebbero ulteriormente le libertà individuali dei cittadini. I terroristi otterrebbero, di fatto, una “vittoria collaterale” se riescono a spaventare il cittadino medio, mettendolo alla mercé di chi vuole limitare ulteriormente le libertà individuali. Anche in questo caso, i terroristi, attraverso un attentato fallito, come quello dello scorso dicembre, quando un altro dilettante, Umar Faouq Abdulmuttalab, ha cercato di farsi esplodere sul volo natalizio da Amsterdam a Detroit, potrebbero ottenere una vittoria collaterale. Leggi tutto l’articolo