Riforma sanitaria, Obama si gioca tutto

President Barack Obama speaks during the health care reform meeting at the Blair House in Washington, Thursday, Feb. 25, 2010. From left are, House Speaker Nancy Pelosi of Calif., Vice President Joe Biden, the president, Health and Human Services Secretary Kathleen Sebelius, Senate Minority Leader Mitch McConnell of Ky., and House Minority Leader John Boehner of Ohio. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)

Anthony M. Quattrone

Questa settimana il presidente Usa, Barack Obama, è sceso in campo in prima persona per assicurare che la riforma del sistema sanitario americano vada finalmente in porto. Il 22 febbraio scorso, il presidente ha annunciato che la Casa Bianca aveva sviluppato una nuova proposta di riforma, per superare l’impasse creata dalla incapacità della Camera dei rappresentanti e del Senato americano, entrambe a maggioranza democratica, di arrivare ad un compromesso sulle due versioni licenziate rispettivamente il 7 novembre e il 24 dicembre dello scorso anno. Secondo il sito Internet della Casa Bianca, la nuova proposta di Obama sintetizza gli aspetti condivisi delle versioni delle due Camere, e aggiunge una decina di punti già proposti da legislatori repubblicani, ma non recepiti nei due testi del Congresso. Ieri, il presidente degli Stati Uniti ha ospitato un dibattito fra deputati e senatori democratici e repubblicani, dinnanzi alle telecamere, cercando di creare il consenso necessario per portare le due Camere ad una sollecita approvazione della riforma. Fra qualche giorno si saprà se l’intervento presidenziale ha avuto successo.

Obama vorrebbe sfruttare anche le notizie che arrivano dai sondaggi sulla frustrazione che i cittadini americani manifestano nei confronti del Congresso, per gli ostacoli interposti dai senatori e deputati nei confronti delle maggiori proposte del presidente. Secondo un sondaggio condotto per la Cnn/Opinion Research Corp fra il 12 e il 15 febbraio 2010, la maggioranza degli americani vorrebbe che i democratici facessero il primo passo per trovare un accordo con i repubblicani, cedendo su alcuni punti controversi. Lo stesso sondaggio rileva, tuttavia, che secondo il 67 per cento degli intervistati i repubblicani non fanno abbastanza per collaborare con la Casa Bianca di Obama. Durante la settimana che sta per finire, la Cnn ha messo in onda una trasmissione intitolata “Broken Government” (governo allo sbando), sottolineando la percezione da parte dell’americano comune che Washington, ed in particolare il Congresso, è incapace di risolvere i problemi reali del Paese.

Forse proprio per rispondere alle critiche che arrivano dagli elettori, il Senato ha approvato martedì scorso, a tempo di record, una misura per ridurre la pressione fiscale sulle piccole e medie imprese che assumono chi ha perso il lavoro da oltre sessanta giorni e per finanziare alcuni lavori pubblici per le infrastrutture. I democratici hanno potuto contare anche sul voto di tredici senatori repubblicani, dando alla “jobs bill” (misura per il lavoro) una maggioranza bipartisan di settanta senatori a ventotto. Ora la legge passa alla Camera per l’approvazione finale prima della firma di Obama. Leggi tutto

Usa, la campagna elettorale è già cominciata

President Barack Obama gestures during a town hall meeting at Green Valley High School in Henderson, Nev, Friday, Feb. 19, 2010. (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)

Anthony M. Quattrone

Un anno fa il Congresso americano, a maggioranza democratica, approvava il piano di stimoli per l’economia americana chiesto dal presidente Barack Obama. Ad un anno di distanza, non è ancora certo quanto abbia inciso il piano nell’impedire che la recessione economica sprofondasse in una depressione pari solo alla catastrofe seguita dal crack del 1929. Il presidente Obama sostiene che l’intervento dello scorso anno abbia salvato l’economia americana, rimettendola sul binario che conduce verso risoluzione della crisi. I repubblicani sono del parere opposto, indicando che il denaro pubblico è stato sperperato in progetti inutili, aumentando notevolmente il debito a carico dei contribuenti di oggi e delle future generazioni. Il 17 febbraio 2009, Obama approvò la “American Recovery and Reinvestment Act”, per un valore di 787 miliardi di dollari, dando il via ad un massiccio intervento da parte del governo federale nell’economia americana. Il valore complessivo dell’intervento ha raggiunto quota 862 miliardi con le misure aggiuntive approvate in seguito. Ad oggi, tuttavia, solo un terzo della cifra approvata è stata effettivamente spesa.

L’anno scorso, Obama avrebbe voluto che il Congresso approvasse una serie di misure condivise dai due schieramenti politici. La principale differenza fra repubblicani e democratici verteva sull’incidenza della tassazione nello stimolo dell’economia. Per i repubblicani, era preferibile ridurre in modo sostanziale le tasse per stimolare l’economia, piuttosto che aumentare la spesa pubblica; mentre per i democratici la riduzione delle tasse poteva essere solo una delle varie parti del pacchetto di misure. Alla fine, la maggioranza democratica ha approvato, senza ottenere il sostegno di nessun deputato e senatore repubblicano, una serie di misure che comprendevano finanziamenti agli Stati dell’Unione, investimenti nei settori dell’energia, dell’educazione scolastica, e delle infrastrutture, speciali interventi a sostegno degli ammortizzatori sociali, oltre alla riduzione delle tasse per 288 miliardi di dollari sia per i cittadini, sia per le imprese. Anche se la riduzione delle tasse è pari al 36 per cento dell’intero pacchetto di misure, i democratici non sono riusciti ad ottenere il sostegno dei repubblicani. Nel recente discorso sullo Stato dell’Unione, Obama ha voluto ricordare ai repubblicani che lui ha ridotto le tasse attraverso il pacchetto di misure approvate lo scorso febbraio, venendo incontro alle richieste dei conservatori, ma, per motivi puramente politici, nessun repubblicano ha mai riconosciuto quest’aspetto dell’intervento presidenziale. Leggi tutto l’articolo

Sanità: Obama pronto al compromesso

Anthony M. Quattrone

President Barack Obama walks to the gym at the Physical Fitness Center at Ft. McNair in Washington Sunday Feb. 14, 2010, to play basketball. (AP Photo/Susan Walsh)

“Mettiamo le migliori idee sul tavolo”, ha proposto il presidente americano Barack Obama ai leader democratici e repubblicani del Congresso durante un incontro tenuto lo scorso 9 febbraio. Il presidente è ormai consapevole che non ha i voti necessari nel Congresso per effettuare la massiccia riforma del sistema sanitario americano che avrebbe voluto portare a termine durante il suo primo anno di Presidenza.

Con la perdita del seggio democratico nel Massachusetts nelle elezioni di gennaio per sostituire il senatore democratico Edward Kennedy, scomparso lo scorso agosto, il partito del presidente ha perso la maggioranza assoluta di 60 dei 100 seggi che compongono il Senato, che permette al partito di maggioranza di controllare completamente l’agenda dell’alta camera, e di bloccare qualsiasi tentativo di ostruzionismo parlamentare da parte della minoranza. Obama oggi si rende conto che, indipendentemente dal seggio perso a gennaio da parte dei democratici, non aveva a disposizione nemmeno la maggioranza di 51 senatori per portare avanti la riforma. La divisione nel Partito democratico è molto ideologica, con la componente conservatrice pronta a votare assieme ai repubblicani per bloccare le proposte dei progressisti. Se Obama avesse avuto un sostegno reale da parte di tutti i senatori democratici, la riforma sarebbe stata approvata durante l’autunno del 2009, immediatamente dopo la sosta estiva. Non è stato così, perché il presidente era ed è rimasto in minoranza sul tema della riforma sanitaria, fin dal suo insediamento un anno fa.

Obama ha proposto ai capigruppo dei due partiti di svolgere un summit il 25 febbraio prossimo, dinnanzi alle telecamere, per discutere su come portare avanti la riforma sanitaria. Alcuni leader repubblicani hanno espresso, tuttavia, delle perplessità sull’idea del summit televisivo, perché lo considerano una potenziale trappola politica, che permetterebbe ai democratici di svilire, dinnanzi all’opinione pubblica, le proposte repubblicane. I repubblicani sono giustamente preoccupati, perchè, secondo un sondaggio condotto pochi giorni fa per il “Washington Post”, la maggioranza degli americani vuole che il Congresso e il presidente continuino a lavorare per fare la riforma del sistema sanitario. Secondo il sondaggio, sei americani su dieci sono dell’opinione che i repubblicani non stanno facendo abbastanza per raggiungere un compromesso con Obama, e quattro su dieci credono che il presidente stia facendo troppo poco per ottenere l’appoggio degli avversari. Leggi tutto l’articolo

Obama, niente più sconti alla Cina

The Dalai Lama delivers a speech in Washington, DC in October 2009. The White House is standing tough on President Barack Obama's plans to meet with the Dalai Lama in February 2010, firmly rejecting Chinese pressure to snub him as rows escalate between Washington and Beijing. (AFP/File/Karen Bleier)

Dall’incontro con Dalai Lama alle presioni sullo yuan passando per le armi a Taiwan: la musica è cambiata

Anthony M. Quattrone

Il presidente americano, Barack Obama, a un anno dal suo insediamento alla Casa Bianca, ha deciso di cambiare politica nei confronti della Cina comunista. Prima della sua visita a Pechino, lo scorso novembre, Obama ha tenuto un atteggiamento particolarmente prudente e attento nei confronti delle sensibilità cinesi, evitando di sollevare pubblicamente qualsiasi argomento controverso, dai diritti civili all’economia, alle questioni generali di politica estera. Da qualche giorno i toni sono concretamente cambiati, e si ravvisa una decisa pressione politica americana nei confronti del colosso asiatico per quanto riguarda la politica estera e militare, i diritti civili, e l’economia.Ormai sembrerebbe far parte di un passato remoto la dichiarazione che il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha fatto durante la sua prima visita ufficiale a Pechino un anno fa, quando disse che i diritti civili non dovevano interferire nei rapporti fra Stati Uniti e Cina, causando non poche perplessità fra chi guarda all’America come il massimo difensore della libertà e dei diritti umani. Poche settimane fa, infatti, dopo che Google ha denunciato atti di pirateria informatica da parte di hacker cinesi, presumibilmente ingaggiati dalle autorità di Pechino per violare le caselle postali “g-mail” di noti attivisti per i diritti civili, la Clinton ha apertamente criticato la Cina per la censura che impone sui motori di ricerca dell’Internet, sostenendo la necessità di “un unico Internet, dove l’intera umanità abbia eguale accesso al sapere e alle idee”.

Il presidente Obama aveva chiaramente indicato durante la sua visita in Cina che la questione dei diritti civili era e rimane importante per gli Usa, ma, a parte qualche moderata dichiarazione pubblica, ha evitato, durante la visita, di riportarla al centro della politica americana nei confronti di Pechino, preferendo di puntualizzare i punti di accordo fra i due Paesi. Sembrava che il presidente e i suoi massimi collaboratori sperassero che attraverso una silenziosa politica nel retroscena, si poteva ottenere di più dai cinesi. Forse, oggi, il presidente si è reso conto che la massima di Mao Tse Tung, che la contraddizione interna è più importante di quella esterna, è ancora valida in Cina, dove gli equilibri politici interni al Partito comunista sono più importanti dei rapporti internazionali e di qualsiasi fattore esterno. Leggi tutto l’articolo