L’America dichiara guerra agli eccessi

Il nuovo corso di Obama alla Casa Bianca

 

President Barack Obama speaks during a news conference, Tuesday, March 24, 2009, in the East Room of the White House in Washington. (AP Photo/Ron Edmonds)
President Barack Obama speaks during a news conference, Tuesday, March 24, 2009, in the East Room of the White House in Washington. (AP Photo/Ron Edmonds)

 

Anthony M. Quattrone

L’attuale crisi economica sta portando alla superficie alcune contraddizioni interne alla società americana, legate direttamente alla cultura dell’eccesso, che potrebbero portare ad una crisi culturale e strutturale di portata storica, se non sono risolte in modo soddisfacente. Lo scandalo degli eccessi legati agli stipendi milionari di quei manager, che, apparentemente, hanno portato allo sfascio le maggiori imprese finanziarie americane, è costantemente all’attenzione dell’opinione pubblica americana.

Sarà interessante vedere come la leadership americana, intesa in senso lato, riuscirà a trovare un nuovo equilibrio fra diritti civili e solidarietà, da un lato, e iniziativa privata e merito dall’altro.

La cultura dominante in America, quella del cosiddetto “mainstream”, è anche il risultato della mediazione costante fra questi quattro concetti. La mediazione culturale realizza sia nella politica, sia nella vita di tutti i giorni, un equilibrio fra la necessità di garantire i diritti civili e la solidarietà, alla base della stessa cultura democratica americana, d’ispirazione giudaico-cristiana, e la promozione dell’iniziativa privata e del merito, caratteristiche specifiche del pensiero cristiano-protestante, e considerate centrali per l’avanzamento della società americana. E’ durante un periodo di crisi economica particolarmente grave, come quella in atto, che l’equilibrio fra diritti civili e solidarietà da un lato, e iniziativa privata e merito dall’altro, è messo duramente alla prova, mettendo in crisi lo stesso modello di vita americano.

La differenziazione politica fra democratici e repubblicani, fra liberal e conservatori, non sempre segue traiettorie facilmente rintracciabili nei quattro concetti, e, spesso, le differenze sono sfumature piuttosto che vere contrapposizioni. E’ difficile trovare in America un movimento di dimensione nazionale che non ha al suo interno chi abbraccia posizioni che sembrerebbero contraddittorie dal punto di vista della contrapposizione, per esempio, fra gli interessi legati alla solidarietà e quelli legati al merito. E’ facile trovare nella destra americana chi spinge per un liberismo puro, mentre propone misure private per aiutare chi è in difficoltà. E a sinistra c’è chi legifera la solidarietà con fondi pubblici, con decreti a protezione delle entrate economiche per i più deboli, mentre favorisce politiche economiche legate al liberismo più sfrenato. La mancanza di partiti ideologici in America porta all’affievolirsi delle differenze fondamentali fra i partiti per quanto riguarda i concetti generali su cui si fonda il paese, mentre, di volta in volta, è probabile che, durante particolari momenti storici, gli accenti su un tema concernente i diritti civili, la solidarietà, l’impresa privata, o il merito possono prendere il sopravvento nel paese, creando nuovi equilibri.

L’iniziativa privata e il concetto del merito hanno ripreso vigore in America negli anni ottanta con la presidenza repubblicana di Ronald Reagan, alle volte mettendo in dubbio anche alcuni diritti sociali e di solidarietà acquisiti nei cinquanta anni precedenti. Neanche Bill Clinton, l’unico democratico eletto dopo la presidenza Reagan, è riuscito a riportare l’accento del paese sui diritti e la solidarietà, anche perchè il generale benessere creato dalla favorevole congiuntura economica durante la sua presidenza, creava meno richieste di solidarietà. Con l’avvento del repubblicano George W. Bush alla presidenza nel 2001, l’impresa privata ha potuto godere di una presenza benevola alla Casa Bianca, sia per le politiche fiscali favorevoli all’impresa e ai grandi investitori, sia per le aperture nei confronti dell’impresa privata, anche in quei settori che prima erano di specifica competenza dello Stato, come nel caso della privatizzazione di alcune attività delle forze armate. Leggi tutto l’articolo

Hillary Clinton a Bruxelles: L’Europa è un partner essenziale

Diana De Vivo (da Bruxelles)

Tempi duri per l’Amministrazione statunitense, tempi in cui al centro dell’Europa si percepisce l’esigenza di una partnership globale. Tempi di programmazione, di priorità politiche, di rinsaldare nuovi legami, di rispondere prontamente alle nuove sfide.

“Stringenti i tempi, altrettanto imponenti le sfide” ha ribadito il Segretario di Stato americano Hillary Clinton nel corso dell’incontro informale tenutosi il 5 ed il 6 Marzo a Brussels con Javier Solana, Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Benita Ferrero-Waldner, Commissario europeo per le Relazioni Esterne, Karel Schwarzenberg, Ministro degli esteri della Repubblica Ceca, a cui è attualmente assegnata la Presidenza dell’Unione e Carl Bildt, Ministro degli esteri svedese, paese che presiederà l’Ue a partire da Luglio.

La Clinton ha confermato che il Presidente Obama parteciperà al Summit informale tra Stati Uniti e Ue previsto per il 5 Aprile a Praga: “President Obama and I intend to energise the transatlantic relationship and to promote a strong European Union”, afferma il Segretario di Stato, “the EU is a union of friends and allies, we derive strength from each other.”

Il Summit US-UE seguirà il meeting del G20 che si terrà a Londra il 2 Aprile 2009 e la celebrazione del 60° anniversario della NATO prevista per il 3 ed il 4 Aprile a Strasburgo, in Francia, ed a Kehl/Baden-Baden, Germania.

Schwarzenberg ha ribadito che durante il Summit di Praga ci si confronterà sulle seguenti priorità: Afghanistan, sicurezza energetica, cambiamenti climatici, Balcani e l’area che si estende dal mediterraneo al Mar Caspio.

A distanza di un mese dall’European Sustainable Energy Week (9-13 Febbraio 2009), in cui l’Unione ha evidenziato le linee guida in materia di cambiamenti climatici ed energia sostenibile per il 2020 (Pacchetto Clima/Energia), che prevedono una riduzione delle emissioni di CO2 del 20%, il 20% di risparmio energetico ed il 20% di energie rinnovabili, l’Amministrazione statunitense, promotrice di un nuovo “green deal”, non sembra bypassare tali obiettivi, in netta controtendenza con le politiche implementate dai predecessori.

“My Presidency will mark a new chapter in America’s leadership on climate change”, annunciò Obama durante un Summit sui cambiamenti climatici tenutosi in California, prediligendo quale Segretario per la politica energetica Steven Chu, premio Nobel per la Fisica nel 1997, e direttore del Lawrence Berkeley National Laboratory, leader nel campo della ricerca sulle fonti energetiche rinnovabili, tra cui la biomassa e l’energia solare.

“Tra gli Usa è l’Europa è necessaria una cooperazione ad alto livello. Io ed il Presidente Obama intendiamo ravvivare le relazioni transatlantiche e promuovere un’Europa forte, poichè un’Europa forte è un partner forte per gli Usa”, ha sostenuto la Clinton.

Sul fronte NATO il Segretario di Stato Usa ha ben più di una volta ribadito l’esigenza di un coordinamento nei differenti scenari sensibili, quali Afganistan, in cui è presente la missione europea EUPOL e Kosovo, in cui l’EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo) è succeduta, dopo 9 anni, alla missione promossa dalle Nazioni Unite (UNMIK).

Non sottovalutato, nel quadro delle relazioni internazionali, il ruolo della Russia: “Lavoreremo insieme per incoraggiare la Russia a svolgere un ruolo costruttivo sul piano internazionale” hanno affermato di concerto la Clinton e Schwarzenberg, delineando un approccio non dissimile nei confronti dell’Iran, “un approccio determinato, coordinato, multilaterale”.

“Europe and the United States are united in a shared vision of the kind of future that we hope to realise.” A dispetto della crisi economica che ha spinto il mondo in una spirale recessiva, “Europe has never been more prosperous and secure”, ribadisce la Clinton. Ed ha aggiunto: “I’m confident that we are up to the task” “we don’t have a choice: we have to come together”.

Lontani anni luce dal dilemma del prigioniero, la cooperazione e la fiducia reciproca sono l’innegabile presupposto di un approccio multilaterale durevole.

Accountability: Obama all’attacco del malcostume

Lo scandalo dei bonus pagati ai manager della AIG

A protestor takes part in a rally in front of an American International Group (AIG) office calling on Congress to take action on employee free choice, health care, and banking reform in Washington, March 19, 2009. REUTERS/Jim Young
A protestor takes part in a rally in front of an American International Group (AIG) office calling on Congress to take action on employee free choice, health care, and banking reform in Washington, March 19, 2009. REUTERS/Jim Young

Anthony M. Quattrone

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è in prima linea nella battaglia per assicurare che la società americana torni a mettere di nuovo in primo piano il principio della “accountability”, un termine inglese che si può tradurre con la parola “responsabilità,” ma il cui significato più preciso è caratterizzato dal connotato della trasparenza, e dal mantenimento degli impegni, specialmente da parte di chi ricopre una posizione di rilievo o di potere in una organizzazione.  In breve, accountability significa rendere conto del proprio operato.

Obama ha invitato, fin dal giorno del suo insediamento, i responsabili della pubblica amministrazione a tenere un comportamento in linea con il principio della accountability.  Il presidente ha ugualmente chiesto agli imprenditori e ai manager delle grandi imprese, specialmente quelle che avevano richiesto e ricevuto danaro pubblico per affrontare la crisi economica, di tenere comportamenti caratterizzati dall’accountability.  Nel caso dei bonus che l’American International Group (AIG) ha pagato pochi giorni fa ai suoi manager, pari a circa 165 milioni di dollari, utilizzando i fondi che il governo federale aveva messo a disposizione per evitare il suo fallimento, è venuto meno il principio della accountability.  Il cittadino medio americano si chiede com’è possibile che si possa premiare con un bonus di circa un milione di dollari ciascuno dei manager responsabili per la politica disastrosa della AIG, la quale oggi sopravvive solo grazie ai 170 miliardi di dollari che il governo federale ha iniettato nel colosso assicurativo per evitarne il fallimento.

La rabbia degli americani contro il comportamento del management della AIG si è manifestata a tutti i livelli, a partire dal cittadino comune, ed ha coinvolto anche i membri del Congresso, i quali hanno minacciato di tassare fino al 90 percento i bonus pagati ai manager responsabili della politica fallimentare dell’azienda.  Il presidente Obama ha dichiarato il suo totale disappunto, ed ha chiesto ai suoi collaboratori di verificare l’esistenza di eventuali meccanismi legali per recuperare i soldi che la AIG ha dato ai manager.  Dopo un’audizione dinnanzi al Congresso il 18 marzo 2009, il direttore esecutivo della AIG, Ed Liddy, ha dichiarato di aver chiesto ai manager che hanno ricevuto il bonus qualche giorno fa di restituirne la metà al governo federale.

In America, il principio dell’accountability, e il rispetto delle regole, ha unito coloro che vorrebbero più intervento dello Stato nell’economia, e quelli che vorrebbero applicare in modo intransigente la politica del laissez faire.   Lo sviluppo di un capitalismo responsabile ha permesso l’affermazione e l’egemonia dell’ideologia del libero mercato anche fra i lavoratori e i meno abbienti negli Stati Uniti.  Il primato della libera impresa e dell’iniziativa privata sono una componente fondamentale del modo di vita americano — in America nessuno mette in dubbio il ruolo dell’imprenditore ed il diritto di chiunque di cimentarsi nell’imprenditoria.  In America, arricchirsi è parte del sogno ed è motivo di vanto, quando si raggiunge il successo specialmente partendo da condizioni di povertà.   Il comportamento di finanzieri senza scrupoli, imprenditori fraudolenti, e manager corrotti ed incapaci sta mettendo in seria difficoltà la base stessa del capitalismo responsabile americano, una delle colonne portanti del sogno americano.

Obama, accusato durante la campagna elettorale di voler ridistribuire la ricchezza attraverso politiche socialiste di stampo europeo, si trova ora a dover difendere il libero mercato, mettendo in risalto la capacità degli americani di fare libera impresa.  Dopo aver proposto misure per salvare grandi imprese come la AIG, alcune banche, la Chrysler, la Ford e la General Motors, ora propone misure a tutela delle piccole imprese, per stimolare la base stessa del capitalismo americano.

La debacle dei pagamenti dei bonus ai manager fallimentari della AIG rischia di ridurre l’appoggio che Obama sta ricevendo dall’opinione pubblica americana nel portare avanti tutte quelle misure che servono per stimolare l’economia.  Obama ha recepito immediatamente il malcontento della popolazione a proposito dei bonus pagati ai manager della AIG.  Senza nascondersi dietro paraventi o provare a fare lo scaricabarile, semmai accusando altre istituzioni statali o cariche dello Stato, Obama si è assunto la responsabilità, in quanto presidente, anche se è in carica da soli due mesi, per non aver fatto di più nel controllare come la AIG intendesse spendere i fondi messi a disposizione dalla Federal Reserve e dal Tesoro.  Obama, con il suo comportamento, ha dato una dimostrazione pratica del comportamento etico, di un comportamento ispirato dal principio della accountability, dimostrando che qualcosa sta cambiando a Washington nel modo di fare la politica.

Pechino-Washington: incrocio pericoloso

Le gaffe di Hillary Clinton e l’aggressività cinese

Free Tibet activists march during a peace march rally in Tokyo, Japan, Saturday, March 14, 2009. The rally marks the 50th anniversary of the failed uprising against the Chinese rule in their homeland. (AP Photo/Itsuo Inouye)
Free Tibet activists march during a peace march rally in Tokyo, Japan, Saturday, March 14, 2009. The rally marks the 50th anniversary of the failed uprising against the Chinese rule in their homeland. (AP Photo/Itsuo Inouye)

Anthony M. Quattrone

Quando lo scorso 20 febbraio, il Segretario di stato americano, Hillary Clinton, dichiarò che le violazioni dei diritti civili da parte dei cinesi non dovevano impedire una fattiva collaborazione fra gli Stati Uniti e la Cina sugli altri temi, come la crisi economica globale, il cambiamento climatico, e sulle minacce alla sicurezza da parte di paesi come la Corea del Nord, molti attivisti nel campo dei diritti civili rimasero alquanto perplessi, se non totalmente sorpresi.  Amnesty International si è affrettata a ricordare alla signora Clinton che, “gli Stati Uniti sono fra i pochi paesi al mondo che possono affrontare la Cina sulla questione dei diritti umani”.  Secondo Amensty International, “il popolo cinese è in una situazione gravissima, con mezzo milione di persone che sono attualmente imprigionate in campi di lavoro, con molte donne obbligate ad abortire, e altre che sono sterilizzate per garantire la politica demografica cinese, che prevede solo un figlio a coppia”.

Il tempismo delle dichiarazioni della Clinton è stato particolarmente sfortunato, se si considera che nel 2009 ricorrono due anniversari molto significativi nel campo dei diritti civili e della libertà.  Il 10 marzo è stato il cinquantesimo anniversario della fallita rivolta del popolo tibetano, che nel 1959, fu schiacciato nel sangue da parte del cosiddetto “esercito di liberazione” cinese, portando poi all’esilio di Sua Santità il 14mo Dalai Lama.  Il prossimo 4 giugno sarà il ventesimo anniversario dell’eccidio di Piazza Tienanmen di Pechino, quando, nel 1989, centinaia, se non migliaia, di pacifici manifestanti cinesi furono massacrati dalle forze armate.  Due massacri a distanza di 30 anni l’una dall’altra, sono ancora oggi vivi nella memoria di tutti coloro che amano la libertà, la democrazia, e credono nell’autodeterminazione dei popoli.

Il governo americano ha voluto rimediare subito al malumore creato dalle dichiarazioni della Clinton, con due interventi che hanno scatenato una furibonda reazione da parte dei cinesi.  Il primo si riferisce al rapporto annuale pubblicato dal Dipartimento di Stato, sullo status dei diritti umani nel mondo.  Il documento, pubblicato il 25 febbraio 2009, firmato proprio da Hillary Clinton, come capo del Dipartimento di Stato, accusa la Cina di aver incrementato la repressione culturale e religiosa in Tibet ed in altre zone del paese, aumentando anche il numero degli arresti e degli abusi nei confronti di cittadini appartenenti alle diverse minoranze.  Per il Dipartimento di Stato, la situazione dei diritti umani in Cina è rimasta a livelli bassi, ed in alcune zone del paese è addirittura peggiorata.  Le autorità cinesi, secondo il rapporto, permettono uccisioni extragiudiziarie, l’uso della tortura, l’estorsione di confessioni dai prigionieri, e fanno anche largo uso di campi di lavoro, limitando il diritto alla privacy, il diritto di parola, di assemblea, di movimento, e di associazione.  Purtroppo, secondo quanto dichiara il Dipartimento di Stato Usa, la repressione cinese e la violazione dei diritti umani è aumentata proprio durante le Olimpiadi di Pechino, nell’agosto del 2008, ed anche alla fine dell’anno, in occasione di una petizione firmata sull’internet da ottomila cinesi, in cui si chiede l’ampliamento dei diritti di espressione. Leggi tutto l’articolo

Obama contro le lobby

Anthony M. Quattrone

U.S. President Barack Obama steps off Marine One as he lands on the South Lawn at the White House in Washington March 6, 2009. Reuters/Jim Young (United States)
U.S. President Barack Obama steps off Marine One as he lands on the South Lawn at the White House in Washington March 6, 2009. Reuters/Jim Young (United States)

Negl’ultimi venti anni, il concetto di outsourcing è diventato il paradigma vincente nei modelli organizzativi di moltissime ditte, le quali preferiscono affidare ad imprese in appalto tutte quelle funzioni che non fanno parte del cuore dell’organizzazione.

L’outsourcing è iniziato con semplici appalti di alcune funzioni sussidiarie all’impresa, come le pulizie, il facchinaggio, e gli altri servizi a basso livello di specializzazione, per poi occupare spazi sempre più vicini alle attività fondamentali dell’organizzazione, come la stessa contabilità, i servizi della segreteria, ed interi settori della produzione.  Con la globalizzazione, alcune funzioni in appalto ora sono addirittura dislocate in diverse parti del mondo, e non è affatto improbabile che il servizio informazioni di una ditta inglese si trovi in un paese asiatico, con operatori indiani che rispondono a richieste riguardanti un evento che si svolge a Londra.  E’ ancora presto per esprimere un giudizio finale sull’outsourcing come metodo di organizzazione dell’attività di un’azienda, ma, tuttavia, è innegabile che offre, almeno per un periodo iniziale, vantaggi economici immediati per l’impresa che lo utilizza.  Non è ancora certo che, nel lungo termine, la disintegrazione dell’identità di una ditta, e lo spezzettamento delle sue funzioni in tante parti, dove una componente tratta un’altra come un cliente, riesca a funzionare meglio di un sistema integrato, dove ogni componente fa parte della stessa organizzazione.  La dedizione e il senso di appartenenza dei dipendenti dell’impresa “principale” sono sicuramente messi sotto stress.

Gli impiegati statali americani, come quelli di tanti altri paesi, ed anche di alcune organizzazioni internazionali, vivono nel costante terrore che il loro lavoro, le attività che svolgono per i loro datori di lavoro, possano essere dati in appalto ad un’impresa privata, da un momento all’altro, nell’ottica dell’ottimizzazione dei processi produttivi e per garantire più efficienza nella spesa del denaro pubblico.  E’ diventato ormai molto comune per un impiegato americano lavorare al fianco di un lavoratore di una ditta in appalto nel svolgere mansioni che fino a venti anni fa erano di competenza esclusiva del dipendente federale.  Un po’ alla volta, o, in qualche caso anche dall’oggi al domani, “vacche sacre” del servizio pubblico, come le attività relative alla sicurezza nazionale, sono state date a ditte private.  In Iraq, le ditte appaltatrici di contratti governativi Usa sono riuscite anche ad ottenere contratti per svolgere lavori che rientrano, direttamente o indirettamente, nelle attività relative al combattimento.  La ditta Blackwater, responsabile per la difesa personale di alti dirigenti e funzionari del governo Usa a Baghdad, è forse il più eclatante esempio di un’organizzazione privata che entra nel territorio normalmente riservato alle attività di uno stato sovrano.

Durante gli anni della presidenza di George W. Bush, la frenesia di appaltare tutto quello che si poteva aveva preso il sopravvento nella programmazione della spesa del bilancio pubblico americano, specialmente nel Dipartimento della Difesa, riducendo sempre di più le attività svolte dai dipendenti federali.  In otto anni, la presidenza Bush aveva raddoppiato l’ammontare speso per gli appalti, raggiungendo quota 500 miliardi di dollari.  Il 4 marzo 2009, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha deciso di ribaltare la politica di Bush, ponendo severi limiti alla politica di outsourcing.  Obama ha dichiarato che è necessario “smettere di dare in appalto quei servizi che dovrebbero essere fatti dal governo, rendendo, nel frattempo, più accessibile il sistema degli appalti alle piccole imprese”. Leggi tutto l’articolo