Anthony M. Quattrone
Oggi, 20 gennaio 2009, Barack Hussein Obama diventerà il 44mo presidente degli Stati Uniti d’America. Sono tantissime le persone in tutto il mondo che seguiranno la diretta TV della cerimonia d’insediamento, e saranno tanti quelli che, alle 18 italiane, si commuoveranno, mentre guardano e ascoltano Obama, giurare fedeltà alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, sulla bibbia appartenuta al presidente Abraham Lincoln. Anche la scelta della bibbia di Lincoln, un presidente repubblicano, che ha dato il via alla lunga strada dell’emancipazione dei neri, è parte di un’attenta coreografia politica che mira a creare unità fra tutti gli americani.
Nei primi cento giorni della sua presidenza, Obama potrà continuare a godere del forte consenso popolare in patria, e della simpatia di tante persone in ogni parte del globo. Ma, soprattutto, potrà contare su di un Congresso a maggioranza democratica, con un’opposizione leale da parte dei repubblicani, che, specialmente all’inizio del mandato del giovane presidente, gli daranno l’opportunità di mettere in atto quanto ha promesso, e quanto vorrà fare per tirare l’America fuori dalla crisi economica.
E’ stato scritto subito dopo la trionfale vittoria del 4 novembre 2008, che l’elezione di Obama andava incontro al desiderio espresso dall’opinione pubblica internazionale affinché l’America scegliesse la discontinuità nei confronti dell’interventismo unilaterale, della guerra preventiva, e dello stradominio delle corporazioni, indirizzando invece la sua politica verso la condivisione e il dialogo, in un contesto di una leadership morale ed etica, che mettesse l’uomo, e non gli interessi economici, al centro dell’azione politica. Dal 4 novembre ad oggi sono passati oltre due mesi, e il mondo è cambiato di nuovo, e rapidamente. La crisi economica ha distrutto centinaia di migliaia di posti di lavoro in America dall’elezione presidenziale ad oggi, portando il totale a oltre tre milioni in un solo anno. Israele ha invaso Gaza dopo aver subito attacchi giornalieri di missili Kassam lanciati da Hamas contro la sua popolazione civile per anni — ora il numero dei morti civili in Palestina, causati dall’azione militare israeliana, ha ormai superato il migliaio. In breve, in soli due mesi, la situazione Americana e mondiale si è complicata ulteriormente, e le sfide per il giovane presidente si sono notevolmente moltiplicate.
In questi due mesi, Obama ha messo assieme una squadra di governo che, secondo gli osservatori americani di tutte le parti politiche, è composta da persone di altissimo calibro. Obama ha scelto il meglio fra democratici, indipendenti, e repubblicani, e ha privilegiato la capacità professionale e la dimostrata competenza, piuttosto che la fedeltà di partito, o nei suoi stessi confronti. Vuole un rapporto leale con dei collaboratori capaci di dire “no sir, lei si sta sbagliando”, con il massimo rispetto dei ruoli e delle persone. Obama sa che alla fine, dopo aver ascoltato i consiglieri, i ministri, gli esperti, sarà solo nel prendere decisioni che potrebbero danneggiare alcuni e favorire altri. Così sarà per la politica economica, quella fiscale, le tasse, la riforma sanitaria, l’ambiente, la sicurezza nazionale, la politica estera, e così via.
Il rischio di deludere tutti c’è ed è grande. Chi vuole chiudere Guantanamo subito sarà deluso dai problemi tecnici che questo comporta. Chi vuole vedere le truppe Usa lasciare l’Iraq subito scoprirà che questo non è possibile, se si vuole garantire la sicurezza delle truppe stesse. Chi vuole la riforma sanitaria dovrà capire che, nel bel mezzo di una crisi economica di portata storica, con milioni di posti di lavoro già persi e altri che sono a rischio, non ci sono i fondi necessari per fare l’agognata riforma. E così chi vuole vedere Obama togliere immediatamente gli impedimenti federali alla ricerca sulle cellule staminali dovrà fare i conti con le priorità che il nuovo presidente vorrà dare ad ognuno dei temi su cui ha basato la sua vittoriosa campagna elettorale.
Gli americani residenti in diverse città italiane hanno organizzato oggi degli incontri per vedere assieme ai loro amici italiani il giuramento di Obama. In alcune città ci sono manifestazioni formali, mentre in altre le celebrazioni sono a carattere informale. Quello che gli italiani potranno notare da queste celebrazioni è che non ci sono differenze di partito, ideologiche, religiose, o etniche. Tutti gli americani in questo momento sperano nel successo del giovane presidente, e si sentono uniti dietro di lui.
Obama ha dimostrato in brevissimo tempo di avere la stoffa per essere un grande presidente americano. Ha lo stile giusto. E’ determinato. Ha il carisma necessario. Ha l’umiltà di circondarsi di persone forti e competenti. Già da domani Obama dovrà rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. E, mentre aspettiamo di sapere come vuole andare avanti, non ci resta che fargli l’augurio che è stato rivolto subito dopo la vittoria del 4 novembre: “Buon lavoro, Mr. President!”
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