Le Presidenziali USA più costose della storia


Candidati a caccia di milionari

Anthony M. Quattrone

(Quaderni Radicali, numero 100 – Speciale Luglio 2007)

L’America affronta da oltre cento anni il tema del finanziamento delle campagne elettorali, alla ricerca di un equilibrio fra la libertà di parola, garantita dal primo emendamento della costituzione, e la necessità di assicurare a tutti, indipendentemente dalla condizione economica, l’accesso al sistema democratico. L’inizio della campagna elettorale per le presidenziali del 2008 ha già evidenziato che queste elezioni saranno le più costose in assoluto della storia americana, superando, sicuramente, il miliardo di dollari di spesa. Nella fase attuale, a poco più di un anno di distanza dal voto del novembre 2008, i candidati dei due partiti maggiori, repubblicano e democratico, sono impegnati nella raccolta di fondi necessari per gareggiare nelle primarie che avranno inizio nel gennaio 2008. Alcuni candidati, come il democratico Barack Obama ed il repubblicano John McCain, hanno posto, in un primo momento, l’accento sulla necessità di ridurre i costi per la campagna, e di utilizzare il sistema federale per il finanziamento pubblico, ma non hanno trovato ascolto fra gli altri candidati, e per rimanere competitivi hanno dovuto abbandonare i propositi iniziali ed attivarsi per ottenere finanziamenti privati. Quest’abbandono deve essere stato particolarmente doloroso per lo stesso senatore McCain, che nel 2002, sottoscrisse con il collega democratico Russ Feingold, una legge bipartisan che limitava sia le spese elettorali, sia l’ammontare dei contributi privati alla campagna. Alcuni fra i maggiori giornali americani hanno proclamato che il sistema di finanziamento pubblico delle campagne presidenziali è ormai defunto.

I primi tentativi di regolamentazione del finanziamento delle campagne elettorali sorsero per impedire il ricatto politico a danno dei lavoratori del pubblico impiego. La Naval Appropriations Bill del 1867, seguita dalla Civil Service Reform Act del 1883, proibiva la raccolta di fondi fra i lavoratori del pubblico impiego federale americano da parte di qualsiasi funzionario governativo — una pratica che spesso era legata direttamente al mantenimento del posto di lavoro.

La prima proposta politica per riformare il sistema del finanziamento delle campagne elettorali si rese concreto nel 1905, in seguito all’appello del presidente Teddy Roosevelt al Congresso, che proponeva la proibizione di tutti i contributi da parte delle corporazioni ai partiti o ai comitati politici, ma senza porre restrizioni ai singoli individui, anche se amministratori o proprietari di queste corporazioni. Con la promulgazione della Tillman Act del 1907, si vietava alle banche operanti a livello nazionale e alle corporazioni di corrispondere somme ai candidati durante le elezioni federali.

Nel 1910 la Federal Corrupt Practices Act poneva limiti di spesa per i candidati alla Camera e nel 1911 anche per quelli al Senato. Entrambe le iniziative legislative erano, tuttavia, difficili da attuare a causa delle difficoltà oggettive poste nella verifica del finanziamento privato. La Federal Corrupt Practices Act, emendata nel 1925, diventò la base della legge sui finanziamenti americani sino al 1971. Nel frattempo, la Hatch Act Amendments del 1940 vietava alle ditte e agli imprenditori che avevano contratti con il governo federale di sostenere candidati nelle elezioni federali. La Hatch Act, inoltre, poneva limiti ai contributi annuali del singolo privato a favore di un candidato o comitato di azione politica (PAC), ma non vietava il contributo da parte dello stesso singolo a più PAC, anche se questi sostenevano lo stesso candidato. Con la Hatch Act, i limiti di spesa e le regole sui finanziamenti venivano estese anche alle primarie.

Nel 1943, la Smith-Connally Act, gia’in vigore per le banche a carattere nazionale e per le corporazioni, estendeva anche ai sindacati la proibizione di finanziare candidati alle elezioni federali. Ai sindacati era fatto divieto di finanziare le campagne elettorali federali utilizzando somme provenienti dalle quote pagate dai lavoratori per aderire al sindacato. L’anno dopo, uno dei maggiori sindacati americani, il Congresso delle Organizzazioni Industriali (CIO), formò il primo PAC a sostegno della campagna per la rielezione del presidente Franklin D. Roosevelt. Le proibizioni della Smith-Connoly Act furono aggirate utilizzando fondi provenienti dai contributi volontari dei singoli lavoratori piuttosto che quelli provenienti dalle casse sindacali.

Nel 1947 la Taft-Hartley Act consolidava il divieto di finanziare candidati federali da parte dei sindacati, le banche a carattere nazionale, e le corporazioni, estendendo la proibizione anche alle primarie. Nel 1967, ad oltre 40 anni dalla prima versione della blanda Corrupt Practices Act del 1925, la Camera dei Deputati metteva in atto le disposizioni di legge riguardanti la necessità di raccogliere dati sui finanziamenti e redigere una lista di violazioni, che però fu totalmente ignorata dalle autorità giudiziarie.

Nel 1971 fu redatta la Federal Election Campaign Act (FECA), tuttora in vigore, che sostituiva la Corrupt Practices Act del 1925, creando un quadro di riferimento più ampio, e disciplinando il finanziamento dell’intero ciclo elettorale federale, dalle primarie alle elezioni generali, includendo le “conventions”. Con l’attuazione della FECA, furono posti dei limiti alla pubblicità sugli organi d’informazione e sull’ammontare che ogni candidato e la sua famiglia potevano offrire alla campagna. La FECA permetteva ai sindacati e alle corporazioni di sollecitare contributi volontari dai propri membri, dipendenti, e azionisti. Inoltre, ai sindacati e alle corporazioni era consentito di finanziare le spese concernenti la gestione dei PAC, ma non quelle propriamente politiche. Nello stesso anno, la promulgazione della Revenue Act permetteva ai contribuenti di indicare sul modulo dell’imposta sui redditi la scelta di versare un dollaro al fondo per il finanziamento pubblico dei candidati presidenziali.

Nel 1974, alcuni emendamenti alla FECA sancirono il pieno finanziamento pubblico per le elezioni presidenziali, attraverso un meccanismo di partecipazione con fondi pubblici al finanziamento delle primarie e delle conventions. Limiti di spesa furono stabiliti per tutte le elezioni federali, inclusi quelli per il senato e la camera, dalle primarie alle elezioni generali. Il limite di $1.000 di contributo da parte di un individuo e di $5.000 da parte di un PAC ad un candidato per una singola tornata elettorale, determino’ la creazione di numerosi PAC alla fine degli anni 70. Fu anche stabilito che una persona potesse donare a diversi candidati una somma complessiva che non superasse $25.000. La legge stabiliva anche un limite di $1.000 per quelle spese definite “indipendenti” , in quanto atte a sostenere un candidato, ma non ufficialmente coordinate e controllate dal candidato. Gli emendamenti rimuovevano i limiti della pubblicità sugli organi d’informazione, e abolivano il divieto di contribuzione da parte di ditte ed imprenditori che avevano contratti con il governo federale. Nel 1974 venne anche creata la Commissione Elettorale Federale (FEC).

Nel 1976, nella causa Buckley contro Valeo, la Corte Suprema bocciò diverse proibizioni e alcuni limiti posti dagli emendamenti della FECA del 1974. In particolare, la corte deliberò che il limite posto sull’ammontare che un candidato stanziava la propria campagna elettorale, quando non utilizzava finanziamenti pubblici, fosse un impedimento alla libertà di parola. La corte altresì bocciò il limite di un candidato e dei propri familiari per il finanziamento della sua campagna elettorale. Infine, la corte bocciò anche i limiti sulle spese “indipendenti”. La corte, tuttavia, affermò il diritto del governo federale a richiedere rapporti dettagliati sulla spesa elettorale, e stabilì anche i limiti che ogni persona poteva corrispondere ai candidati e alle organizzazioni elettorali.

Nel 1976 e nel 1979, nuovi emendamenti alla FECA alzavano i limiti dei contributi che i privati potevano offrire ai partiti nazionali e alle PAC, ed anche quelli che i volontari potevano donare in natura (l’uso della propria automobile, della casa, il cibo, ecc.) per sostenere un candidato. Le nuove regole permettevano anche alle sezioni locali dei partiti nazionali di sostenere candidati federali con materiale pubblicitario per la campagna, senza porre limiti.

La decisione della Corte Suprema nella Buckley contro Valeo del 1976 ed i successivi emendamenti della FECA crearono una situazione paradossale negli USA, dove nuovi quesiti non trovarono soluzioni istituzionali, o addirittura favorivano la creazione di tortuosi e creativi meccanismi per aggirare le restrizioni. In un attualissimo saggio del 1995, il professor Bradley A. Smith, della Capital University Law School, Columbus, Ohio, sosteneva che, a seguito della implementazione della FECA e della decisione della Corte Suprema, si erano create nuove e inquietanti dicotomie: il diritto del singolo a spendere quanto volesse per la propria campagna elettorale era sancito, ma non era tutelato il diritto dello stesso individuo a spendere cifre illimitate per la campagna di un altro. Il diritto di un candidato a spendere soldi era distinto dal diritto di un contribuente a donare soldi. I contributi ad un candidato erano considerati diversi dalle spese indipendenti (non coordinate con il candidato) a sostegno dello stesso candidato. Si poteva spendere senza limiti sui temi elettorali, ma vi erano limiti sulle donazioni per sostenere direttamente un candidato. Le imprese operanti nel campo dell’informazione non avevano limiti di spesa nella campagna elettorale, a differenza di tutte le altre, che invece non potevano contribuire a piacimento. Infine, fu creata una distinzione tra i limiti di spesa posti nei confronti di un’entità incorporata, come un’impresa, e un’entità non incorporata, come un sindacato, a favore di quest’ultima, e fortemente limitando la prima.

Alcuni politici americani hanno posto al centro del loro impegno politico proprio la riforma del sistema di finanziamento elettorale. Fra i più noti, oltre al sopraccitato John McCain, vi sono anche Ross Perot, il quale partecipò alle presidenziali del 1992 e 1996 con il partito riformista, e Ralph Nader, che nel 2000 partecipò alle presidenziali come indipendente. La Bipartisan Campaign Reform Act (BCRA) del 2002, sponsorizzata da John McCain e Russ Feingold, è il più recente atto legislativo in materia di finanziamento delle campagne elettorali. Con la BCRA si tenta di regolare l’uso di “soft money” nelle campagne elettorali. Soft money si riferisce a tutti quei finanziamenti non direttamente legati alla campagna elettorale, ma che potrebbero essere, almeno potenzialmente, utilizzati indirettamente per influenzare il risultato elettorale, specialmente attraverso campagne pubblicitarie su argomenti specifici.

Nei prossimi mesi l’attività della Commissione Elettorale Federale sarà al centro dell’attenzione degli organi di informazione americani perchè questo organismo dovrà svolgere un lavoro di controllo sia per garantire che le spese dei candidati e le donazioni dei simpatizzanti rispettino i limiti imposti dalla legge, sia per assicurarsi che i candidati e gli organismi politici che hanno richiesto il finanziamento pubblico utilizzino i fondi secondo i rigidi protocolli stabiliti dalla legge sul finanziamento pubblico delle campagne elettorali. Nel secondo caso, tuttavia, la FEC forse si troverà alleggerita nel lavoro da svolgere perchè sembrerebbe che nessun candidato alle presidenziali voglia utilizzare il finanziamento pubblico sia a causa dei bassi contributi previsti dalla legge, rispetto agli ammontari reperibili attraverso il finanziamento privato, sia per la complessità del sistema di controllo, che richiederebbe da parte dei candidati di tenere in piedi una struttura contabile abbastanza costosa e burocratica.

I media americani hanno forse ragione nel sostenere che il sistema di finanziamento pubblico delle campagne elettorali federali è defunto. La raccolta di fondi privati è in piena attività, e tutti i candidati dei due partiti sono a caccia di denaro. I candidati e i loro strategisti hanno trovato come aggirare il limite legale, aggiornato al gennaio 2007, di $2.300 che ogni americano può donare a un singolo candidato per campagna elettorale, $28.500 annuali al partito nazionale, $10.000 annuali al partito locale, e $5.000 annuali che può donare ad ogni PAC, attraverso il sistema chiamato “bundling” (impacchettare), dove lo scopo di chi raccoglie fondi è di raggruppare tanti diversi contributi individuali, tentando di rimanere nei limiti posti dalla legge per alcune voci (contributo al candidato, contribtuto al partito, contributo al PAC). La raccolta di soft money per finanziare la campagna cosiddetta “indipendente” a sostegno del candidato è in pieno svolgimento, così quello per sostenere diversi “temi”. La senatrice di New York, Hillary Clinton, è in testa nella raccolta di fondi, dimostrando una grandissima capacità di attrarre “bundles” millionari. Il senatore dell’Illiniois, Obama Barack, l’ex senatore del Nord Carolina, John Edwards, ed il governatore del New Mexico, Bill Richardson, seguono la Clinton nella graduatoria nella raccolta fondi fra i candidati democratici. L’ex governatore del Massachussets, Mitt Romney, l’ex sindaco di New York, Rudi Giuliani, e il senatore dell’Arizona, John McCain hanno ottenuto sino ad ora i maggiori consensi in termini di finanziamenti privati fra i candidati repubblicani.

Ai moralisti che si scandalizzano che queste elezioni saranno le più costose in assoluto nella storia americana, l’opinionista del Washington Post, George F. Will, ha ricordato, in un articolo del 4 marzo 2007, che il totale della spesa prevista di un miliardo di dollari per la campagna elettorale presidenziale fino al Novembre 2008 è solo pari alla metà della cifra spesa dagli americani per acquistare dolci pasquali ogni anno.

2 pensieri riguardo “Le Presidenziali USA più costose della storia”

  1. In Italia il problema del finanziamento delle campagne elettorali non si pone; la partitocrazia in autonomia e nella totale discrezionalità decide quanto prelevare direttamente dalle casse dello stato per il fabbisogno delle campagne elettorali e non solo…

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