Obama si impantana nel greggio della Louisiana

Anthony M. Quattrone

US President Barack Obama speaks after meeting with Coast Guard Admiral Thad Allen and local officials on efforts to fight the BP oil spill at Coast Guard Station Gulfport in Gulfport, Mississippi. Obama labeled the Gulf oil spill an environmental 9/11 and made a fourth disaster zone trip Monday while aides strong-armed BP to set up a multi-billion dollar victim fund. (AFP/Mandel Ngan)

Secondo un sondaggio condotto dalla Gallup, settantuno percento degli americani pensa che il presidente Barack Obama non abbia reagito con la giusta forza nei confronti della British Petroleum (BP), responsabile della più grossa crisi ambientale nella storia degli Stati Uniti.  Gli americani sono convinti che il disastro petrolifero nel Golfo del Messico, dove una piattaforma per l’estrazione del petrolio è esplosa e in seguito è affondata, causando la morte di undici lavoratori, il ferimento di altri diciassette, e disperdendo nel mare un flusso continuo di petrolio grezzo da quasi due mesi, avrà un impatto ecologico ed economico che durerà oltre un decennio.

Il pessimismo degli americani in questa circostanza sembrerebbe contrastare, almeno per il momento, con lo stereotipo a stelle e strisce del “si può fare”.  Il sondaggio, condotto pochi giorni prima del discorso alla Nazione che Obama ha tenuto la sera del 15 giugno 2010, e trasmesso dalle maggiori reti americane, indica che la maggioranza degli americani non ha nessuna fiducia nel lavoro che la BP sta facendo, mentre un quarto boccia completamente l’intervento presidenziale e federale.  Tuttavia, il sondaggio rivela anche che sono di più gli americani che preferiscono lasciare che la BP risolva il problema, piuttosto che spostare la direzione delle operazioni al governo federale, il quale è considerato meno competente del gigante petrolifero nell’affrontare il tipo di problema posto dalla fuoriuscita di greggio dal pozzo petrolifero.

Il disastro ambientale è iniziato il 20 aprile 2010, quando esplode un pozzo di petrolio a 1.500 metri di profondità sotto piattaforma Deepwater Horizon, la quale s’incendia e affonda dopo due giorni.  La fuoriuscita di greggio da quel che rimane del pozzo sul fondo marino ha contaminato vaste aree di mare, rendendo necessario alla Guardia Costiera americana di ordinare il 2 giugno 2010 l’interdizione della pesca per un totale di 228 mila chilometri quadrati, pari a trentasette percento delle coste Usa del Golfo del Messico.  La fuoriuscita di greggio ha ormai superato l’ammontare che ha inquinato le limpide acque dell’Alaska nel 1989, quando la nave Exxon Valdez riversò 262 mila barili di greggio, pari a circa quarantadue milioni di litri, rendendo l’attuale “il peggior disastro ambientale della storia degli Stati Uniti come ha dichiarato la Casa Bianca lo scorso 30 maggio. Leggi tutto

Da Kyoto a Copenhagen: nasce l’asse della “Green economy”.

Stretta di mano tra Obama e Hu Jintao al vertice promosso dalle Nazioni Unite il 22 Settembre 2009
Stretta di mano tra Obama e Hu Jintao al vertice promosso dalle Nazioni Unite il 22 Settembre 2009

Diana De Vivo

Il riscaldamento globale rappresenta una delle maggiori minacce per il nostro pianeta: mancano soltanto due mesi ad uno dei più grandi vertici promossi sinora su un tema profondamente sentito dai leader mondiali, il climate change, una questione al centro, ormai, dei numerosi dibattiti a livello europeo ed internazionale:

“La minaccia è urgente”, afferma il Presidente americano Barack Obama, nel corso del summit promosso dalle Nazioni Unite lo scorso 22 Settembre sul cambiamento climatico, “il tempo stringe se non vogliamo lasciare alle generazioni future una catastrofe irreversibile”.

I due paesi, Cina e Stati Uniti, che da soli producono circa il 40% delle emissioni carboniche sul pianeta, sembrano convergere nella direzione di elaborare un nuovo accordo sul clima che superi l’impasse del Protocollo di Kyoto.

L’incontro promosso dai leader mondiali al fine di discutere su questioni globali che interessano i paesi industrializzati ed in via di industrializzazione ha manifestato l’urgenza di affrontare temi quali la riduzione delle emissioni di gas nocivi, i trasferimenti di tecnologie pulite ai paesi emergenti, gli aiuti verdi e la revisione della piattaforma di Kyoto.

Un margine di manovra negoziale verso un ambizioso accordo multilaterale globale sul climate change è emerso dai toni profondamente diversi con cui Obama ha espresso il forte sostegno degli Usa sul tema in vista della Conferenza di Copenhagen prevista per Dicembre 2009, un vertice ambizioso al fine di elaborare un nuovo accordo globale sul clima.

L’eco dei tempi in cui l’Amministrazione Bush negava persino la realtà del surriscaldamento globale, e la Cina addossava responsabilità ai paesi più ricchi è rimpiazzata dalla stretta di mano tra il Presidente Usa, Obama, ed il rispettivo collega cinese Hu Jintao al summit di New York, la quale dimostra inequivocabilmente il rinnovato impegno assunto dai leader dei due giganti che generano il 40% di tutte le emissioni di CO2 sul pianeta.

La scorsa settimana è stata indetta a Bankok, Tailandia, (28 Settembre 2009 – 9 Ottobre 2009) una nuova udienza preliminare in vista del vertice nella capitale danese, in cui saranno esaminate le proposte relative all’elaborazione di una convenzione vincolante sul clima, che imponga obblighi erga omnes; si procederà ugualmente in questa direzione i primi giorni di Novembre con le udienze di Barcellona al fine di giungere a Copenhagen con un preciso ventaglio di proposte. Leggi tutto l’articolo

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